Ogni persona che incontriamo lungo l’esperienza della nostra esistenza, diviene
l’opportunità per la nostra vita, di comprendere di più rispetto al significato del nostro
posto nel mondo. La vita ci insegna a non giudicare l’altro, e che le apparenze ingannano,
ciò che vediamo con i nostri occhi, è solo la superficie di un abisso sommerso. C’è stato un
tempo da bambini per giocare crescendo, abbiamo appreso come fare per prendere contatto
con madre Terra, e abbiamo aspettato la sera per incontrare il Padre. Ognuno ha trascritto
la propria storia nelle sue memorie corporee e attivato network significativi per lo sviluppo
soggettivo. Qualcuno ha preferito affidarsi all’oblio per non sentire troppo freddo. Il tempo
può curare una cicatrice, e renderla invisibile agli occhi, ma la ferita può continuare a
sanguinare fino a quando non si entra nell’esperienza di quel momento, con la piena
consapevolezza di ciò che sta accadendo, adesso. Se un bambino non ha avuto la
disponibilità di una madre e un padre amorevoli, cercherà di copiare alla meno peggio i
comportamenti che vede e sente nel suo ambiente circostante. Riproducendo azioni
stereotipate e non supportate da una base emotiva. La mente imparerà velocemente ad
attivare riflessi in base agli stimoli che percepirà nel rapporto familiare e poi a esprimerli
nelle relazioni future. Fisiologicamente siamo equipaggiati per sopravvivere alla vita
grazie agli automatismi neuro-biologici. In assenza di un presidio emotivo-relazionale, il
soggetto si ritrova a dover costruire una realtà oggettuale codificata attraverso sistemi
meramente corrispondenti al concetto di stimolo-azione-risposta. L’essere umano in queste
situazioni impara a mostrare la parte migliore del proprio Ego, funzionale a rispondere e
ad interpretare i bisogni dell’altro. Pur di essere visti e considerati, sacrificheranno la loro
dignità di essere umano nelle fauci dei cosi detti “caimani” dalle sembianze umane. Perché
accade tutto questo? Quale è il significato di questo agire? Quando l’uomo non si
soggettiva come essere umano, strutturato attraverso il correlato neuro-fisiologico affettivo
relazionale, altro non gli resta che la sopravvivenza sociale. Ognuno occupa un posto nella
società, ma non è sempre vero che tutti noi possiamo scegliere come vivere. In condizioni
dove da bambini siamo stati educati alla mancanza del supporto emotivo, la mente è
sprovvista di una traccia neuro-fisiologicamente canalizzabile. In assenza di un testimone
così essenziale per la ramificazione dei nostri sentimenti, la mente tenterà con stratagemmi
ad alterare la realtà interna. Provvedendo a sollecitare network che in qualche modo
attiveranno i sistemi di ricompensa per equilibrare il senso di perdita. Il soggetto per
“restare a galla” muoverà verso l’accumulo sostanziale di beni e oggetti che in qualche
modo dovranno riempire il vuoto esistenziale che inesorabilmente, verrà a generarsi. E’
così, quella bambina cresce e impara a difendersi dagli occhi invadenti e dalle parole senza
affetto. Diventa una donna fragile, complicata con i suoi ricordi insicuri, ma non tollera di
riconoscersi così umanamente bisognosa d’amore. Quando si sente “bella e potente”,
prova a “sistemare” un passato fatto di assenze e paesaggi desolati. Accade, che lei resta
ammaliata dal potere di qualcuno che illusoriamente le giura di “amarla guardandola” così
come’è!. Un gioco psicologico, un vero racket, che si evidenzia da atteggiamenti
manipolativi atti a imprigionare un’Anima per possederla. E’ ovvio che in queste
condizioni siamo in assenza completa di qualsivoglia sentimento umano. Una donna può
assecondare questo movimento, illudendosi di “ricucire” le sue vecchie ferite, mettendosi
nel ruolo di carnefice, insieme al suo “padrone”. Ma in questo modo, si prostra e diventa la
serva di un dio minore, “dona la sua acqua migliore ai porci”. Quella bambina giocando,
impara sul palcoscenico della vita, a scambiare ruoli, emozioni, aspettative, a volte può
sorridere altre piange, e quando nessuno l’ha guardata con occhi amorevoli, le risulta
molto complicato affidarsi a se stessa. I bambini stanno bene insieme ad altri bambini,
sono felici e mettono in scena i “grandi” urlano e corrono, inciampano e cadono, quella
sbucciatura ha il senso della condivisione di un attimo che passa via, senza lasciare troppo
dolore. Il bambino sceglie sempre la sicurezza, l’adulto impara ad accettare la sofferenza
della vita e a guardare avanti per la sua strada. Se riconosce i suoi veri bisogni e
comprende le motivazioni che l’hanno confuso, può integrare il suo passato con occhi
amorevoli. Potenziando le sue risorse nel presente, proverà a far emergere la compassione
per se stesso e finalmente non avrà più bisogno dei manipolatori e dei caimani travestiti da
persone perbene!.