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La lezione della Selva amazzonica

Dal Tanganica al Titicaca” è il titolo dell’ultima mia fatica letteraria. Fatica? Se questa espressione venisse alle orecchie di un minatore o un camionista …meglio non pensarci. Gioco va molto meglio. Il libro non è la cronaca di viaggi, sono cosciente del mio semianonimato, non un tentativo di far concorrenza a Wikipedia, ma le impressioni scritte di un viaggiatore qualsiasi, armato di piedi, fortuna, curiosità e leggerezza. Le foto, bellissime, di mio figlio Enrico.

Ma si può parlare del Sudamerica tralasciando la foresta amazzonica? Certamente si può, specialmente se non se ne sa niente: infatti niente ne sapevo e niente ho scritto. Ma ora ci sono immerso e, se vi pare, mi potete seguire. Se non lo fate, sono del tutto solidale, purché non sia in quanto impegnati col Festival di San Remo (se non sbaglio il protettore dei vogatori). In Amazzonia, se si è in Sudamerica, si arriva più o meno da tutte le parti: è al centro del continente, quindi patrimonio di molti Paesi. La porta peruviana per la selva si chiama Iquitos e da qui, via fiume, si può andare in Colombia, Ecuador e Brasile. Prossima nostra avventura. Iquitos si raggiunge con alcuni giorni faticosissimi in scomodi e strapieni bus sulle montagne russe andine, poi si segue in piroga. Oppure in aereo. In bus andai a Cusco, bellissima esperienza, ma del tutto sconsigliabile per chi assume la famigerata pillola per la pressione, a meno che non si attrezzi con un tubo che …no, che schifo. In altre parole, i bus, come gli aerei, non conoscono fermate. Ma gli aerei arrivano prima ed in aggiunta hanno una o più toilette. Quindi aereo. Finita la premessa?

No, perché per andare a Lima, si deve passare per Madrid. Per quanto riguarda me, significa anche un rituale saluto in commissariato per denunciare il furto di qualcosa…telefono, borsellino, portafoglio, carte di credito …una tradizione che si rinnova come il Natale ed il Capodanno./


In questi anni abbiamo un’altra tegola: green pass, vaccini ecc. Al check-in l’addetto, gentilmente, rileva che mancherebbe la seconda dose, ma vede la terza. Dopo un poco di suspence riesco a far intendere che la terza non può non seguire la seconda, quindi …
“Vale, esta bien”, sorriso e tutto passa. Il volo da Lima a Iquitos? Lacrime e sangue (non esageriamo, certo grandi arrabbiatura e fregature di soldi).
Ad Enrico non riuscirono a fare la terza dose, perché nel loro sistema risultava la seconda e non la prima. Stessa cosa di Madrid, ma per me risolta con una risata. Forse quando a Lima costruiscono un palazzo riescono a fare il secondo piano senza fare il primo? Palloni aerostatici? Comunque, il volo perso e ricomprato il giorno successivo dopo normale vaccinazione.
Ed eccoci finalmente ad Iquitos, grande emozione perché già dal finestrino dell’aereo si vedeva lo sterminato oceano verde della foresta, tagliato dalle curve color cioccolato al latte del Rio delle Amazzoni. Cazz…hanno lasciato la stufa accesa. Ah no, siamo all’ equatore, il caldo umido è di casa, o ti abitui, o te ne torni subito. Noi ci siamo subito abituati. Taxi? Non esistono, sono sostituiti da uno stormo di carrozzella aperte, simili a quelle ischitane degli anni Sessanta, solo che sono del tutto aperte e trainate da una mezza moto truccata e con gli occhi a mandorla.
L’ auriga si chiama Saul, ha i classici tratti somatici indio ed è molto simpatico, le sue origini napoletane sono evidenti, come dimostrato dal fatto che conosce la migliore agenzia turistica e, per farci un piacere, lì ci porta. Iquitos è il nome della città peruviana più isolata, la vera porta per la foresta, ma anche il nome di un pueblo, un’etnia, e del relativo idioma. La nostra guida ci dice che ci sono 55 gruppi etnici con relative lingue e culture, alcune, dice, antropofaghe. Chi sa … Il primo giorno lo dedichiamo a un giro turistico piuttosto soft: risciò a motore, attraversamento del famigerato mercato di Belen, piroga e visita a vari animali in cattività. Molto più interessante la caccia, armati di macchina fotografica e cellulare, ai delfini rosa. Catturiamo una famigliola con cucciolo, ma, per la verità, quello che riempie di emozione è l’intensità del Rio delle Amazzoni, se non ci sei dentro non lo capisci. Ma il viaggio forte, wild, vero, è quello di oggi: tre giorni nella selva amazzonica, prima in auto, poi, per più di cinque ore, in piroga.

on ci sono parole e neanche le immagini possono rendere l’emozione del Rio e dei suoi affluenti, un mare sopra e sotto il nostro fuscello di legno che avanza lento e possente. Siamo in auto: un nastro di asfalto attraverso il verde della vegetazione interrotto dalle macchie di rosso intenso della terra ci riporta al Burundi, altro continente ma stessa latitudine, stesse piogge intense che tu pensi “accidenti, vacanza rovinata” per poi ritrovarti dopo pochi minuti sotto un sole cocente.

Il giro per i mercati, l’assaggio di tutti i frutti, il deciso rafforzamento di tutte le difese immunitarie grazie alla assoluta mancanza di igiene, sono una costanza di tutti i viaggi veri. Se vuoi fare lo schifiltoso, meglio starsene a casa a godere l’ottimo Piero Angela. Qui è il paradiso di chi ama la frutta, un mercato ogni pochi metri, profumi intensi, non la finirei mai di saggiare frutti conosciuti e, ancor più, per me stranieri. In Perù vendono moltissimi frullati di frutta, l’ultimo in un mercato di un porto da cui sarebbe partita la nostra piroga, vengo attirato da un frullato mix, arricchito dal profumo intenso e gradevolissimo di un frutto chiamato HUBO.
Questa mattina, sveglia all’ alba e marcia nella selva alla ricerca di scimmie ho trovato centinaia di questi ottimi frutti per terra. Se puede comer? Chiedo alla guida. È bastato un accenno di assenso per farmi gustare una profumatissima precolazione. I semi, rigorosamente puliti tra palato e lingua, sono ora nella mia tasca sinistra, penso di scambiarsi, come fecero i primi nativi, con perline, specchietti ed assegni circolari. Il nostro primo vero viaggio in piroga dura più di cinque ore illuminate dalla maestosità del Rio delle Amazzoni. Alla confluenza tra il Rio e l’affluente che poi ci porterà al nostro accampamento veniamo accolti da una coppia di delfini rosa. Non posso non tuffarmi.

CACCIA NOTTURNA AL CAIMANO.
Ho nuotato in tre oceani, nel mare del Nord e dei mari del Sud, nel mar Nero e nel mar Rosso (manca il giallo), nel Niger e nel Kili, nel lago più profondo dell’Africa, il Tanganica, nel lago navigabile più alto al mondo, il Titicaca, Ho volato con il parapendio e, nello stesso giorno, osservato il fondo marino con maschera e bombole, ho navigato in canoa per mare e disceso fiumi con impetuose rapide e cascate, cavalcato onde in due continenti, ma un’ emozione come quella della notte trascorsa in piroga per vedere l’ alligatore, non l’ avevo neanche immaginata. Abbiamo visto altro, uccelli, serpenti e alberi maestosi, sequoie con diametri di più di cinque metri ed altezze da superare la capacità degli occhi. alligatori niente, ma niente questo toglie al fascino di una notte unica, irripetibile, al ricordo della flora che si specchia nel fiume, mentre la piroga penetra alla ricerca di occhi lucenti e denti bianchi. La selva si chiude sopra di noi, ci ingloba, ne facciamo parte. La nostra emozione è suono che si fonde con i richiami dei rapaci notturni. Ogni tanto la cappa di rami e foglie che ci cattura e ci protegge si apre per far penetrare una stella. Usciamo da un tempo e un posto nel mondo che ieri ci sembrava l’unico possibile e che domani tale ci sembrerà. Ora siamo pienamente Amazzonia, siamo la selva stessa, con il corpo e con lo spirito. Siamo tutti pieni di silenzi sonori.

LA LEZIONE DELLA SELVA
Non sono uno scienziato, non un maestro né tantomeno un teologo: non mi prendere sul serio, non ho intenzione di fare proseliti e il linguaggio mio, per chi volesse ascoltare, tenta di essere proprio quello della Selva Amazzonica, il tentativo di diventare non esploratore e poi narratore, ma Selva stessa. Michelangelo Buonarroti diceva che lui non “faceva” le sculture, ma semplicemente toglieva il marmo in più. Vero? Nessuna documentazione, quindi forse solo una leggenda. Allo stesso modo io potrei dire che tutto quanto sento come vero, era già in me, ma l’Amazzonia mi ha preso ed ha cullato le mie intuizioni. Una volta credetti di vedere Dio su un albero di limoni, poi mi resi conto che Lui era l’albero stesso, ma anche i limoni, le foglie, le formiche, l’acqua che lo dissetava, la luce che lo nutriva e perfino i miei pensieri su di Lui. Siamo tutti fratelli, disse Gesù. Ma, in mancanza di documentazioni potrebbe essere una leggenda. Di più: circa cinquecento anni prima, il principe Siddharta comprese che scimmie e ranocchi sono esperti del Divino più di tutti i monaci del mondo, forse perché hanno l’umiltà del sentire e non la presunzione del sapere. Così narra Herman Hesse a proposito del Budda, l’illuminato, ma potrebbe essere solo un’invenzione letteraria. Per i nativi la Selva è viva, lo sono gli animali e le piante. L’ anima non è separata dal corpo, anche se a volte ne può uscire. Più materialmente noi usiamo il computer, hard e soft, senza pensarlo come due cose distinte, se non alla morte, per incidente, virus o vecchiaia dello strumento materiale, salvo poi verificare che la parte più importante, le informazioni, le foto, i pensieri in qualche modo “on the cloads”, in una diversa dimensione, possano essere trasferiti in un altro nuovo corpo di plastica e metalli. Non ci sono nella selva conoscenze e verità, corollari di postulati calati dall’alto, materia di discussioni e guerre, ma sapienza che non chiede e non dà spiegazioni. Lo sciamano aiuta, ma tutti sanno quali funghi e quali erbe usare per intimidire la freccia che lanciata dalla cerbottana procurerà il cibo per la comunità e sa quale è la giusta dose da immettere nel proprio sangue per rafforzare il corpo, purificarlo e dare le visioni che trascendono la normale conoscenza, per sentire le risposte dello spirito delle piante e degli animali, per vederli.

Per gli scettici che pensano che le statue possano piangere e invece le piante no, ricordo che molte medicine/veleni sono studiate da scienziati ed aziende farmaceutiche soprattutto per curare i disturbi dell’umore e dell’invecchiamento senile, per l’alzaimer e malattie simili. Le malattie derivano da squilibri del corpo/spirito, una persona è troppo grassa perché lo spirito, offeso da qualche trauma, vuole che il corpo mantenga le distanze da altri pericoli. Le medicine regalate dalle piante e dagli animali non bombardano il corpo, ma curano l’anima attraverso la purificazione del corpo/spirito. Hai voglia di lavorare di martello e giravite, ma se il computer non funziona devi applicarti anche, se non più, sul soft.

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